sabato 24 dicembre 2011

Finisce il 2011.

È un po' che non mi viene di scrivere. Come tutte le volte che mi capita, mi metto a leggere. Da quando poi ho scoperto il mio personale cimitero dei libri dimenticati quasi non compro più libri. Me li vado a cercare laggiù, in una penombra che profuma di muffa di carta da scaffale e vecchi tubi per riscaldare il silenzio. Tempi di crisi. È un posto così cristallizzato dall'inerzia, e dalla malattia da cui a stento sono uscito, che i suoi dettagli hanno attraversato anni e anni di esistenze, balzando integri dall'altroieri all'oggi. Ti volti, ti abbassi per caso davanti a un misterioso sacchetto di plastica bianca e lo apri. Un vecchio impolverato CD Player della Sony, il "Discman". Una confezione in plastica trasparente di tempere con il tuo cognome, e il nome che invece non è il tuo, ma di un ragazzino che all'epoca aveva sei o sette anni. Un freddo biglietto d'auguri di una donna importante per la tua vita a un uomo importante per la tua vita. Cristo, da dove vengo. La lettera di un ragazzo, ex-agente di compagnia assicurativa, a quell'uomo, scritta nella piazza centrale di Duisburg, in una pausa fra un colloquio di lavoro e un altro, nel millenovecentonovantanove. Svela che le vie dell'affetto e dell'amicizia sono infinite e impreviste, e inizi a sentirti piccolo, quasi incapace. Fotografie. Della prima metà del novecento. Volti ignoti, eppure sfiorati dal sospetto che nascendo ti sei appropriato di qualcosa che era anche loro. Sarebbe troppo chiamarla gratitudine, troppo poco simpatia. Un vecchio passaporto della Repubblica. Erano verdi, una volta, con le lettere oro. Biglietti da visita in inglese: American Academy in Rome, Utility Woodworks in Malta. Ti dicono con indifferenza, quasi con eleganza, tutta britannica, che è solo per un caso (da rimpiangere? Ma no) che parli italiano con accento romanesco e non inglese della periferia di qualche città di chissaddove. Sarà in virtù quindi di quello stesso caso che spuntano persino una lettera del Fascio Femminile di Ripi, provincia di Frosinone, dove la (fu) camerata tua nonna viene ringraziata della generosità (duecento lire) di cui hai avuto solo un assaggio quando truccavi le partite a poker sul davanzale della casa al mare; e poi una misteriosa missiva che quasi ti vergogni a leggere, tanto trasuda tristezza: una donna anziana (è sempre nonna?) scrive a un uomo misterioso (è nonno?) la sua sconfortante solitudine. E ti tornano in mente delle grida di tanto tempo prima. Ma la calligrafia di una volta era così bella che non si riesce più a leggerla. Forse ci riesci, a piangere. Sarebbe ora. Foto, cartoline, a colori, in bianco e nero. Francobolli della Repubblica, francobolli del Regno. Una carta d’identità spezzettata, con il tuo nome e cognome e la data del millenovecentoquarantaquattro. Vaglia su carta marcia. Una lettera di un amico fraterno all’uomo importante per la tua (e la sua?) vita, nel periodo in cui questi stava male sul serio. Il testo è manierato, e non sai se è questione di freddezza o costume stilistico dell’epoca. Ma qual è poi la differenza? Ma c’è del vero, c'è del buono. Il mittente me lo ricordo, stava sempre afflosciato in una poltrona, con lo sguardo placido, staccato, oggi non saprei dire più se in senso buono o nel peggiore possibile, al centro di una casa la cui sporcizia era superata solo dalle manie di pulizia materne. Un’amicizia fra famiglie inspiegabile. Spuntano, infine, ingiallite e stilografiche ricette mediche. All’inizio, lo confesso, penso che siano elenchi di antidepressivi. Ma sono cattivo, e pieno di pregiudizi. Sono, invece, i miei farmaci per l’asma. Tutte le visite, tutte le prescrizioni. Le prove allergiche, le ricette, i consigli medici. Avevo cinque anni. È per me che li tenevi nascosti. Perché, superstizioso come sei sempre stato, ossessionato dall’idea della sfortuna, pensavi di proteggermi. Mi ritrovo soltanto adesso la capacità di distinguere il grano dal miglio. Magari era poco, ma c’era anche del grano nel sacco. E sarà quello, che mi porterò dietro. Sempre.
Non ci ho pensato mica due volte. Ho rimesso tutto nel sacchetto di plastica bianca e me lo sono rubato via.
È un po' che non mi viene di scrivere.

venerdì 16 dicembre 2011

Notte.

Gli occhi stanchi di sé
e i sorrisi di circostanza
li ho portati in cantina
stanotte
la voce secca del noncisono
l'ho bagnata con uno scroscio d'acqua calda
stanotte
il silenzio della risata vuota
l'ho soffiato via col grido
stanotte
il farfuglio del sorriso idiota
l'ho spazzato via con l'intelligenza d'Altri
stanotte.

Chissà che gran risveglio
domani.